GIALLI

Luigi Calcerano


 

Il tema della topografia dei delitti di carta fa emergere una caratteristica fondamentale del giallo italiano.

Il giallo, in Italia, è stato ed è caratterizzato, almeno da Scerbanenco in poi da una forte localizzazione, è un giallo “domiciliato”.

Nego che sia un semplice espediente tassonomico o una esigenza tecnica di ordinare gli interventi da parte  degli organizzatori..

Come al solito il Mystfest di Cattolica, perché fa cultura, qualsiasi cosa ne pensino i ministeri competenti, apre sul giallo piste originali di indagine; il problema è piuttosto che la provocazione a tutti noi non è stata che parzialmente raccolta e questo mi ha fatto cambiare la scaletta che mi ero preparato per l’intervento. Sarà il coautore della coppia, Fiori, a parlare della nostra Roma e della nostra localizzazione, io proverò invece a fare qualche riflessione su questo  carattere originale del giallo italiano.

Ho cambiato il mio intervento perché si rischia, mi è parso dai contributi di ieri, di sorvolare, di viaggiare, come ha fatto Carloni nel catalogo con una specie di guida del Touring sotto il braccio e niente più, mentre una domanda cui vale veramente la pena di  tentare di rispondere è PERCHE’ IL GIALLO IN ITALIA E’ COSI’ FORTEMENTE LOCALIZZATO?

Il Mystfest, maliziosamente direi, ci ha chiesto per iscritto  se non sia  un modo di giocare in casa, di sentirsi più sicuri, su un terreno facile perché conosciuto... ma questo, mi pare, non spiegherebbe l’universalità del fenomeno che tra ieri e oggi qui tocchiamo con mano e tantomeno gli esiti letterari che ne vengono.

Tra l’altro Carmen Iarrera e Danila Comastri Montanari hanno rilevato  che si tratterebbe di una sicurezza ingannevole. Meglio una città sconosciuta: più la gente crede di conoscere una città più è difficile parlargliene con un minimo di originalità o anche, solamente, senza essere banali e le domiciliazioni dei giallisti italiani non sembrano proprio, salvo qualche eccezione, banali.

Perché allora ci rendiamo il lavoro difficile?

A parte anche qui qualche eccezione, le città nei polizieschi classici sono poco più che fondali intercambiabili per lo sviluppo della trama. Siamo noi che ci facciamo coinvolgere dall’esotismo dello smog londinese, della brughiera di Holmes e dei grattacieli americani di Philo Vance per dare stimolo nostra alla fantasia: Poirot mi sembra un caso emblematico, si muove, come del resto farà poi James Bond, davanti fondali turistici e tra scene di maniera, in Egitto, in Grecia o nel Labirinto del Latemar.

Con i maestri dell’hard-boiled school e con Woolrich la città viene sì in evidenza ma nonostante tutto si tratta  ancora una cosa diversa. La città è una jungla, il teatro del crimine - organizzato o no - con Woolrich, - come rileva, nel catalogo, Rigosi - “diventa una sorta di incubo tentacolare, organismo vivente mostruoso”.

Ma è cosa diversa dalle città del giallo italiano - è la città moderna l’archetipo della pericolosa città moderna - ma non quella città come dire che è Milano, ma non la Milano di  Scerbanenco, diversa da quella di Olivieri e di Pinketts; è Roma, ma non la Roma di Felisatti e Pittorru è diversa da quella di Moretti o di Carmen Iarrera, o di Augias o di Enzo Russo. Non parliamo di Gadda.

Non voglio dire con questo che da questo punto di vista i giallisti italiani sono più bravi, che attingono alla letteratura tout court più spesso di altri, (che rimangono a livello di magari alta e ricca artigianalità) non lo dico e non perché sotto sotto non lo pensi. Da petroniano non voglio mai, nemmeno alla lontana, dar adito ad ulteriori ghettizzazioni del genere poliziesco, classificazione questa sì,  tassonomica e non assiologica (come dico abbastanza spesso per tappare la bocca a certi critici)

Bravura o meno, il punto non è questo momentaneamente avrei trovato un’altra spiegazione o meglio un’altra ipotesi: secondo me nel giallo italiano la città non serve solo per fondale spazio-temporale , non è solo un topos necessario, accanto ai personaggi della vittima, del colpevole e dell’investigatore da noi, nel giallo italiano, perché la città è uno dei personaggi. Ed è uno dei personaggi che più svelano, smascherano l’autore. Madame Bovary  sono io eccetera.

La Roma di Calcerano e Fiori, insomma rappresenterebbe la coppia letteraria Calcerano e Fiori più dei loro commissari e investigatori.

Questo non l’abbiamo capito studiando  narratologia.

Il primo spunto ce l’ha dato un critico, Loris Rambelli, lo storico del giallo italiano che ci ha fatto notare i nostri frequenti passaggi nella città   ctonia, a Roma .

Città ctonia. Siamo andati a guardare la parola sul vocabolario. La città sotterranea, per quei tre che, in sala, Pinketts compreso, non lo sanno. Ed era vero.

Ora ce lo mettiamo, per non scontentare o, peggio osar  smentire Rambelli, un episodio nelle fognature o nei cunicoli della metropolitana - ma prima, senza intenzionalità (sarà stato Verne, Freud o meglio ancora Sussi e Biribissi) le gite nella città ctonia le mettevamo sempre senza rendercene conto, perché quella Roma era dentro di noi.

Vedete una città  è come un organismo particolarmente complesso dalle infinite sfaccettature. E ci sono le foglie dei platani di Olivieri e la marea inquietante di Pinketts, che per l’appunto solo lui, vede, cara Volpatti.          .

Trascegliere aspetti particolari, fermare l’attenzione su una dimensione piuttosto che su un’altra, su una componente speciale, mentre tante se ne sorvolano, vuol dire disegnare una città costruirla - inventarsela come i colleghi della F.S.  fanno coi pianeti e le diverse società che li colonizzano.

Certo i giallisti italiani hanno dietro una storia e  una geografia che pochi possono vantare e sono radicati nelle loro città e province perché sono radicati nella loro cultura di provenienza. Altrettanto certamente, in Italia, esistono ancora culture e capitali in numero che altrove sembra spropositato. Questo ci spiega, in parte, tanta ricchezza.

Ma poteva essere solo ricchezza di sfondi, colore e niente di più.

Il fatto è che mi sembra che i giallisti italiani si manifestino certo in tutti i loro personaggi ma più di tutto nel personaggio muto della loro città. Condizionati da S.S.Van Dine e dagli esempi di scrittura dei classici, ma ancor di più malati come siamo di Hammett ed Hemingway le città nessuno perde tempo a descriverle, tanto per far vedere che sa tenere la penna in mano. Niente descrizioni, certo. Banditi i brani di prosa lirica, le città e le culture di ciascuno sono lasciate trapelare per il lettore da indizi - tracce - particolari - personaggi minori - particolari secondari, spie, segni.

Come nella serendipità il lettore è chiamato a raccogliere tutto ed arrivare ad una soluzione che è l’epifania della città di quell’autore - intendiamoci - ricostruita però anche sulle presupposizioni enciclopediche, le conoscenze di cui il lettore è in possesso. Per questo, tra l’altro, i giallisti romani faticano molto a costruire la loro Roma. Roma tutti credono di conoscerla alla perfezione ed è difficile sostituire il pregiudizio del lettore con la città-personaggio che disegnamo -leggiamo-critichiamo-odiamo e amiamo, perché in quasi tutti per questo personaggio c’è odio e amore. A quest’ultimo proposito cito solo i tormentati rapporti di Machiavelli con Bologna. Ma Loriano, il nostro maestro,  un personaggio, il sergente Sarti Antonio, ha provato perfino a farlo morire! E’ già andata bene che non abbia fatto distruggere Bologna da un terremoto.

Ma che Roma è quella di Calcerano e Fiori questo sarà l’amico Fiori a raccontarvelo!